A cento anni dal colpo di stato fascista, compiuto con l’appoggio della monarchia e della Chiesa il 28 ottobre, riproduciamo questo articolo di Errico Malatesta, già apparso su questo settimanale nel primo numero uscito dopo il conferimento dell’incarico di primo ministro da parte di Vittorio Emanuele III a Benito Mussolini, il 25 novembre 1922.
Come riferito in un altro articolo apparso sullo stesso numero “lunedì sera 30 ottobre – e cioè subito dopo l’occupazione fascista di Roma– i nostri locali di via Santa Croce furono invasi e devastati. Vennero danneggiate le macchine, rovesciati i caratteri, bruciati i rotoli di carta, mettendosi così nell’impossibilità di stampare il giornale, ed impedendoci anche di completare la spedizione del numero già stampato del 28 ottobre. Trovare una tipografia disposta a stamparci mentre imperversava la furia devastatrice delle camicie nere e azzurre non era cosa facile. Dopo tre settimane di sosta forzata ripigliamo ora le pubblicazioni, incoraggiati dai compagni delle varie località che, come noi, pensano che la voce anarchica debba continuare a farsi sentire ed affermarsi pubblicamente affinché la violenza reazionaria non ce lo impedirà e non ci obbligherà a ricorrere a vie clandestine.”
Mussolini al potere
A coronamento di una lunga serie di delitti, il fascismo si è infine insediato al governo.
E Mussolini, il duce, tanto per distinguersi, ha cominciato col trattare i deputati al parlamento come un padrone insolente tratterebbe dei servi stupidi e pigri.
Il parlamento, quello che doveva essere «il palladio della libertà», ha dato la sua misura.
Questo ci lascia perfettamente indifferenti. Tra un gradasso che vitupera e minaccia, perché si sente al sicuro, e una accolta di vili che pare si delizi nella sua abiezione, noi non abbiamo da scegliere. Constatiamo soltanto – e non senza vergogna – quale specie di gente è quella che ci domina e al cui giogo non riusciamo a sottrarci.
Ma quale è il significato, quale la portata, quale il risultato probabile di questo nuovo modo di arrivare al potere in nome e in servizio del re, violando la costituzione che il re aveva giurato di rispettare e di difendere?
A parte le pose che vorrebbero parere napoleoniche e non sono invece che pose da operetta, quando non sono atti da capo brigante, noi crediamo che in fondo non vi sarà nulla di cambiato, salvo per un certo tempo una maggiore pressione poliziesca contro i sovversivi e contro i lavoratori. Una nuova edizione di Crispi e di Pelloux. È sempre la vecchia storia del brigante che diventa gendarme!
La borghesia, minacciata dalla marea proletaria che montava, incapace a risolvere i problemi fatti urgenti dalla guerra, impotente a difendersi coi metodi tradizionali della repressione legale, si vedeva perduta e avrebbe salutato con gioia un qualche militare che si fosse dichiarato dittatore e avesse affogato nel sangue ogni tentativo di riscossa. Ma in quei momenti, nell’immediato dopoguerra, la cosa era troppo pericolosa, e poteva precipitare la rivoluzione anziché abbatterla. In ogni modo, il generale salvatore non venne fuori, o non ne venne fuori che la parodia. Invece vennero fuori degli avventurieri che, non avendo trovato nei partiti sovversivi campo sufficiente alle loro ambizioni e ai loro appetiti, pensarono di speculare sulla paura della borghesia offrendole, dietro adeguato compenso, il soccorso di forze irregolari che, se sicure dell’impunità, potevano abbandonarsi a tutti gli eccessi contro i lavoratori senza compromettere direttamente la responsabilità dei presunti beneficiari delle violenze commesse. E la borghesia accettò, sollecitò, pagò il loro concorso: il governo ufficiale, o almeno una parte degli agenti del governo, pensò a fornir loro le armi, ad aiutarli quando in un attacco stavano per avere la peggio, ad assicurar loro l’impunità e a disarmare preventivamente coloro che dovevano essere attaccati.
I lavoratori non seppero opporre la violenza alla violenza perché erano stati educati a credere nella legalità, e perché, anche quando ogni illusione era diventata impossibile e gli incendi e gli assassinii si moltiplicavano sotto lo sguardo benevolo delle autorità, gli uomini in cui avevano fiducia predicarono loro la pazienza, la calma, la bellezza e la saggezza di farsi battere «eroicamente» senza resistere – e perciò furono vinti e offesi negli averi, nelle persone, nella dignità, negli affetti più sacri.
Forse, quando tutte le istituzioni operaie erano state distrutte, le organizzazioni sbandate, gli uomini più invisi e considerati più pericolosi uccisi o imprigionati o comunque ridotti all’impotenza. la borghesia e il governo avrebbero voluto mettere un freno ai nuovi pretoriani che oramai aspiravano a diventare i padroni di quelli che avevano serviti. Ma era troppo tardi. I fascisti oramai sono i più forti e intendono farsi pagare a usura i servizi resi. E la borghesia pagherà, cercando naturalmente di ripagarsi sulle spalle del proletariato.
In conclusione, aumentata miseria, aumentata oppressione.
In quanto a noi, non abbiamo che da continuare la nostra battaglia, sempre pieni di fede, pieni di entusiasmo.
Noi sappiamo che la nostra via è seminata di triboli, ma la scegliemmo coscientemente e volontariamente, e non abbiamo ragione per abbandonarla. Così sappiano tutti coloro i quali han senso di dignità e pietà umana e vogliono consacrarsi alla lotta per il bene di tutti, che essi debbono essere preparati a tutti i disinganni, a tutti i dolori, a tutti i sacrifizi.
Poiché non mancano mai di quelli che si lasciano abbagliare dalle apparenze della forza e hanno sempre una specie di ammirazione segreta per chi vince, vi sono anche dei sovversivi i quali dicono che «i fascisti ci hanno insegnato come si fa la rivoluzione».
No, i fascisti non ci hanno insegnato proprio nulla.
Essi hanno fatto la rivoluzione, se rivoluzione si vuol chiamare, col permesso dei superiori e in servizio dei superiori.
Tradire i propri amici, rinnegare ogni giorno le idee professate ieri, se così conviene al proprio vantaggio, mettersi al servizio dei padroni, assicurarsi l’acquiscienza delle autorità politiche e giudiziarie, far disarmare dai carabinieri i propri avversari per poi attaccarli in dieci contro uno, prepararsi militarmente senza bisogno di nascondersi, anzi ricevendo dal governo armi, mezzi di trasporto e oggetti di casermaggio, e poi esser chiamato dal re e mettersi sotto la protezione di dio … è tutta roba che noi non potremmo e non vorremmo fare. Ed è tutta roba che noi avevamo preveduto che avverrebbe il giorno in cui la borghesia si sentisse seriamente minacciata.
Piuttosto l’avvento del fascismo deve servire di lezione ai socialisti legalitari, i quali credevano, e ahimè! credono ancora, che si possa abbattere la borghesia mediante i voti della metà più uno degli elettori, e non vollero crederci quando dicemmo loro che se mai raggiungessero la maggioranza in parlamento e volessero – tanto per fare delle ipotesi assurde – attuare il socialismo dal parlamento, ne sarebbero cacciati a calci nel sedere!
Errico Malatesta
(Pubblicato in Umanità Nova, anno III, n° 195, Roma, 25 novembre 1922)